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Contro il Far West delle spiagge italiane, rapinate da concessioni illegittime e crisi climatica

Dal 1970 persi 40 milioni di mq di spiagge per erosione e consumo di suolo, ma il Piano nazionale di adattamento è senza governance né fondi. E sulla direttiva Bolkestein il Governo Meloni scarica il caos sui Comuni. Parla Sebastiano Venneri, responsabile Turismo e Innovazione territoriale di Legambiente
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Intervista

Secondo il nuovo Rapporto spiagge di Legambiente, sulle coste italiane crescono gli eventi meteo estremi, con oltre 100 accumulatisi solo nell’ultimo anno. Eppure, il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, approvato dal Governo Meloni, resta chiuso in un cassetto: cosa manca per l’attuazione?

«In primo luogo, gli organismi di governance del Piano che pure dovevano essere individuati per decreto già 3 mesi fa. E quindi l'Osservatorio e il Forum permanente che avrebbero dovuto mettere attorno a un tavolo tutti i soggetti istituzionali, imprenditoriali, del mondo della ricerca che dovranno lavorare per definire la strategia e verificarne l'efficacia. In secondo luogo, i fondi. Il Piano contiene tante misure e prescrizioni, alcune ambiziose altre discutibili, ma senza quattrini nessuna di queste si tradurrà in azioni concrete».  

Un recente studio Ingv certifica una scarsa conoscenza degli italiani rispetto ai rischi legati all’innalzamento del mare. Quante spiagge e aree costiere rischia di togliere all’Italia la crisi climatica?

«Su questo tema bisognerebbe riflettere perché evidentemente bisogna trovare modalità nuove e più efficaci per trasmettere l'urgenza del fenomeno legato all'innalzamento del livello del mare. Credo che la mera traduzione in centimetri possa addirittura confortare quanti pensano che in fondo 8 o 10 centimetri in più possiamo pure permetterceli. In realtà questo fenomeno crea impatti devastanti sulle infrastrutture fognarie, mette in crisi il delicato equilibrio delle aree lagunari con effetti drammatici sulla biodiversità e così via. Bisogna trovare il modo di restituire la complessità del fenomeno».

L’Ispra documenta che le spiagge italiane si estendono oggi per appena 120 kmq, meno della superficie di Ostia. Come incidono l’erosione costiera e il consumo di suolo, contro il quale non c’è ancora una legge nazionale?

«Hai citato due questioni, erosione costiera e consumo di suolo, che dovrebbero essere trattate come vere e proprie emergenze nazionali. Cito spesso il dato dei 40 milioni di mq di spiagge persi tra il 1970 e il 2020: un'area, per capirci, dove potevano trovare posto 13mila stabilimenti balneari, il doppio di quelli esistenti oggi. È come se avessimo perso il profilo costiero dell'intera Calabria per 50 metri di profondità. E questo fenomeno è spesso in connessione con l'altro, il consumo di suolo, la continua cementificazione della costa che spesso innesca i fenomeni erosivi. Come dico spesso ai miei amici balneari non sarà la Bolkestein a portar via loro le spiagge, ci ha pensato l'erosione mentre erano impegnati a combattere contro i mulini a vento dei bandi».

In Sicilia i Piani di utilizzo delle aree demaniali marittime (Pudm) devono prevedere il 50% delle aree destinato alla fruizione gratuita, ma il diritto alle spiagge libere è davvero rispettato nel Paese?

«Poco e male. Anche qui speriamo che questa stagione di forti contrasti sul tema serva quanto meno ad accendere i riflettori su un diritto, quello alla spiaggia libera, ancora troppo negato agli italiani. Ho trovato interessante la decisione del comune di Rimini di sottrarre superficie (ancora troppo poco...) alle concessioni per destinarla alle spiagge libere. Un segnale, sebbene timido, di inversione di tendenza che fa il paio con il bel lavoro di qualche anno fa di pedonalizzazione e innalzamento del waterfront: azioni di adattamento al cambiamento climatico e di aumento delle spiagge libere che vengono dalla capitale del balneare in Italia. Più a sud a Gallipoli, la capitale meridionale del balneare italiano, è oggetto di una becera campagna di stampa da parte del principale quotidiano nazionale un grande intervento di rinaturalizzazione che ha tolto l'asfalto e pedonalizzato la litoranea che tagliava in due il cordone dunale. Credo che si debba prendere confidenza con interventi di questa natura e auspicarne l'emulazione, piuttosto che stracciarsi le vesti per qualche parcheggio in meno».

Di fronte al mancato rispetto della direttiva Bolkestein sulle concessioni balneari, che è costato all’Italia l’avvio di una procedura d’infrazione europea, i tecnici del Governo Meloni hanno risposto che solo il 33% delle coste italiane è oggetto di concessioni. È un dato corretto?

«È un dato ridicolo frutto di una mappatura farlocca. Per dimostrare l'abbondanza della risorsa spiaggia e quindi provare ad aggirare lo scoglio della Bolkestein (che vigerebbe solo in presenza di risorsa scarsa), il Governo ha portato a 11mila i chilometri di costa del paese, notoriamente fermi a 8000 almeno dall'ultima era geologica. Figurarsi che ha contato non solo le coste rocciose, le falesie, ma anche i moli dei porti industriali, i pennelli frangiflutti come se potessero essere aree da destinare a concessione, sentenziando, senza tema del ridicolo, che la porzione di litorale occupato dagli stabilimenti era circa un terzo del totale e quindi si può andare avanti con nuove concessioni.

Ovviamente l'approssimazione del lavoro non è sfuggita al Commissario europeo Breton, che ha bocciato senza appello il lavoro con una lettera molto circostanziata inviata a novembre cui non è stata articolata alcuna risposta. Per giunta il lavoro del Governo spalmava le concessioni su scala nazionale, un escamotage grottesco per cui al bagnante di Viareggio in cerca di spiaggia libera si suggeriva di fatto di andarsela a cercare in Sardegna o in Calabria. Questo lavoro andava fatto sul totale di spiaggia accessibile e soprattutto su scala comunale: ogni Comune deve assicurare ai suoi cittadini e ai turisti un 50% di spiaggia accessibile libera. Se questa percentuale è soddisfatta il resto può essere oggetto di bando».

Con due recenti sentenze (la 3940 ad aprile e la 4481 a maggio) il Consiglio di Stato ha stabilito sia che  tutte le proroghe delle concessioni balneari sono illegittime, sia che non ci possono essere ulteriori dilazioni per il rispetto della direttiva Bolkestein entro il 31 dicembre. Cosa succede adesso?

«Succede che il Governo ha lasciato il cerino nelle mani dei funzionari comunali cui sta sostanzialmente dicendo "arrangiatevi". I tentativi di aggiramento legislativo e le proroghe surrettizie si sono infrante contro la giustizia amministrativa, ma anche contro la legge. Tutti parlano della direttiva Bolkestein, ma pochi ricordano che quella direttiva è diventata legge dello Stato e che il provvedimento di legge varato dal Governo Draghi che prevedeva bandi entro il 2023 è stato votato anche da chi siede adesso nei banchi del Governo, a cominciare dal ministro delle Infrastrutture.  Reso che ormai, dopo la lunga pausa elettorale dovuta alle europee, sia arrivato il momento del redde rationem e giustamente i Comuni, seppur in ordine sparso, si stanno attrezzando a predisporre i bandi di gara. Peccato non aver approfittato di quest'occasione per dare direttive univoche e coerenti a tutti, per definire finalmente criteri di premialità ambientali per chi richiede la concessione, affidarla non a chi paga di più, ma a chi fa l'offerta qualitativamente migliore, a chi è plastic free, a chi fa ricorso alle rinnovabili, a chi usa prodotti a km zero, a chi non usa cemento e così via». 

In attesa che la direttiva venga rispettata appieno, a livello locale avanza “Far West” delle concessioni balneari. Come cambiano le politiche sui vari territori? Ci sono anche esempi positivi?

«Come dicevo la situazione è molto confusa e differenziata. Qualche settimana fa la regione Friuli,  guidata da un esponente della Lega, ha varato una direttiva che indica ai Comuni i criteri per i bandi suggerendo di valutare l'offerta economica con un massimo di 20 punti su 100 e con infestanti 80 punti valutare la qualità dell'offerta.  È quello che dicevo riguardo al fatto di trovare il modo per evitare aste economiche che premierebbero i grandi gruppi e favorire al contrario le piccole aziende capaci di qualità. All'opposto la Calabria ha deciso che la Bolkestein a quelle latitudini non si applica. Bisognerebbe spiegare a chi governa quella regione che non è ancora un regno autonomo e almeno le leggi nazionali dovrebbero essere rispettate. Peraltro, così facendo si mettono in grande difficoltà i funzionari comunali che possono essere oggetto di diffide per mancata ottemperanza delle normative vigenti. Ma di questo evidentemente importa poco».

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Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.